Cenni biografici

GIORGIO GRIFFA,  nasce a Torino il 29 marzo 1936, nonostante inizi a dipingere già giovanissimo prediligendo opere figurative,
decide di seguire studi classici e nel 1958 consegue la laurea in giurisprudenza e comincia ad esercitare la professione di avvocato.

Dagli anni 60 però la sua passione per l’arte prende il sopravvento e dal 1960 al 1963 è allievo di Filippo Scroppo,
pittore astratto nonché docente all’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino, collaboratore di Felice Casorati e membro del Movimento Arte Concreta o MAC.
Tuttavia solo a metà degli anni 60 nei quadri figurativi di Griffa iniziano a comparire elementi astratti che sanciscono l’avvio di quelle riflessioni sullo statuto della pittura,
sugli strumenti del dipingere e sulla posizione dell’artista che porteranno al ciclo dei “Segni Primari” con cui ha inizio l’impronta inconfondibile del suo percorso artistico.

Nel 1968 abbandona definitivamente la pittura figurativa e inizia a portare sulla tela quei segni elementari che caratterizzano ancora oggi il suo lavoro.
Dipinge principalmente con colori acrilici su tela grezza (iuta, canapa, cotone e lino) non preparata, né montata su telaio.
Le sue tele vengono poi fissate direttamente alla parete con una serie di piccoli chiodi lungo il loro bordo superiore.
Una particolarità di questi supporti è che quando l’opera non è esposta e viene ripiegata, si formano pieghe che creano una “griglia” che soggiace alla pitture divenendo parte integrante dell’opera stessa.

Giorgio Griffa inizia l’attività espositiva in Italia nel 1968 e nel 1970 espone già nelle gallerie di New York e Parigi.
Ha tenuto più di 150 mostre personali, e partecipato a una lunga serie di mostre collettive, esponendo in spazi pubblici e privati, italiani e stranieri.

La pittura di Griffa si è sviluppata e articolata negli anni dando vita a una serie di otto cicli pittorici:

1) Segni Primari, inizia alla fine del 1967. Dopo alcune tele monocrome in cui il colore non è steso su tutta la superficie del quadro, le stesure di colore sono sostituite dal ripetersi sulla tela di un medesimo segno, sempre lo stesso e sempre diverso per via delle imperfezioni della mano.

2) Connessioni o Contaminazioni, i segni differenti iniziano a dialogare fra di loro. Da una società di segni si passa alla convivenza di diverse società di segni sulla stessa tela; segni orizzontali e segni verticali, segni larghi e segni sottili.

3) Frammenti, in questo ciclo che inizia alla fine degli anni ’70 le diverse tele sono tagliate in piccoli frammenti irregolari, sui quali viene posata la pittura.I frammenti vengono disseminati nello spazio. Sono le stesse tele a divenire immagini e figure, unitamente alla pittura che esse contengono.

4) Segno e Campo, convivenza del segno che disegna e del colore che colora: segno e campo. Semplicemente l’introduzione, accanto al divenire dei segni, di momenti di pausa e di variazione del divenire portati dalle campiture di colore.

5) Tre Linee con Arabesco, All’inizio degli anni ’90 si pone la questione di costituire una nuova compagine sociale in cui i soggetti siano le opere stesse, di modo che alla convivenza delle varie sequenze di segni si accompagni la sequenza dei lavori. Ogni opera porta un numero, che non è un elemento decorativo aggiunto, ma sta a indicare la posizione di quell’opera all’interno del ciclo.

6) Numerazioni, il numero mira a dare un’informazione sul divenire della singola opera. I numeri indicano in questo caso l’ordine con cui i vari segni o colori vengono depositati su quella tela

7) Alter Ego, i lavori di questo ciclo si riferiscono a memorie specifiche nell’ambito della pittura. Di fatto inizia nel 1979 con un trittico intitolato significativamente “Riflessione” le cui tre grandi tele sono dedicate a Matisse, Klee e Yves Klein. Tuttavia troverà solo dopo il 2000 il titolo Alter Ego

8) Sezione Aurea, nei primi anni 2000 l’attenzione di Griffa si posa sull’aspetto matematico della sezione aurea. Il rapporto aureo produce un numero che non finisce mai, procede per sempre, senza fine, sino alla fine dei secoli. È una straordinaria metafora del compito lasciato alle arti: conoscere l’inconoscibile, dire l’indicibile.

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